giovedì 17 aprile 2014

L’ultima Pasqua da “vacandoiә”

Il racconto di zia Maria delle tradizioni in occasione della Santa Pasqua: gli sposi prima di “affәdé” tra “lә sәbbәlchә” e la “mteit”.
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Non una Pasqua qualunque ma l’ultima da “vacandoiә” (nubile) cioè quella prima di “affәdé” (sposarsi). Negli anni Cinquanta, stando a ciò che racconta zia Maria, c’erano regole molto severe che indicavano la strada corretta da percorrere nella vita di ogni giorno ed in qualsiasi circostanza. Non era da meno un’esperienza unica (altri tempi) come quella del matrimonio. Per quel giorno, così come lungo tutto il tragitto che portava i futuri sposi al momento di pronunciare il “sì”, era doveroso rispettare un “protocollo” di usi e tradizioni ben precise, pena lo “scombinamento” dello sposalizio.



In occasione delle festività religiose pasquali, per esempio, la giovane promessa sposa si recava il Giovedì Santo a “fé lә sәbbәlchә” (fare i sepolcri) con la suocera, la cognata grande (sorella maggiore del fidanzato) e sua madre. Un fatto di sole donne, insomma, quello di recarsi in adorazione del Santissimo Sacramento deposto all’altare della deposizione. Per l’occasione la sposa comprava (o più frequentemente si faceva confezionare) il vestito nuovo ed il soprabito. Ovviamente, ma questa “regola” viene rispettata da alcuni ancora oggi, i sepolcri si facevano in numero dispari altrimenti “non valevano”. Gli uomini di casa, compreso il futuro sposo, aspettavano il rientro delle donne per “mettere tavola”. Una volta tutti attorno al desco era il momento del piatto forte della tradizione pugliese, ovvero il calzone: nei giorni che precedevano il Giovedì Santo tutta la famiglia dello sposo era impegnata nella preparazione della leccornia a base di sponsali fritti, acciughe, uvetta e olive. Se questa breve descrizione vi ha sufficientemente incuriosito ecco un link per poter preparare un calzone “doc” con la ricetta di nonna Ninetta, diffidate dalle imitazioni: http://www.terraefarina.it/2012/03/calzone-di-mio-fratello.html.

Ma torniamo ai futuri sposi, sebbene con un po’ di acquolina in bocca. Se questa era la tradizione del giovedì, il Sabato Santo protagonista indiscusso era il fidanzato. La famiglia della sposa “mandava a regalare” (grazie a persone che in cambio di una piccola ricompensa si offrivano come autentici “pony express”) prima della Resurrezione di Gesù Cristo (che in passato avveniva il sabato mattina) allo sposo un cesto di doni composto da un agnellino bianco con il fiocco rosso al collo, trentatré uova fresche di gallina ed il cosiddetto “piatto dolce”, un dessert a scelta. Se nel frattempo la futura suocera non aveva ancora completato la serie di regali di sua spettanza (la collanina, l’orologio “buono”, il braccialetto di oro...) si approfittava della Pasqua per compiere il proprio “dovere” e donare allo sposo ciò che mancava all’appello, viceversa l’occasione era idonea anche per rispettare un’altra usanza: la “mteit”. Secondo la tradizione, la famiglia della sposa doveva regalare una “cambiata” allo sposo, cioè l’intimo che avrebbe indossato magari anche il giorno del matrimonio. Non solo, anche la camicia bianca e la cravatta per “affәdé” facevano parte di questo “corredo”.

Il Sabato Santo, ricorda zia Maria, in giro per le strade di Andria si vedevano decine di persone con in braccio agnellini con fiocchetti rossi, uova e piatti con dolcetti, tanti quante le coppie “vacandoiә” nell’ultima Pasqua prima di “affәdé”.

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