Il racconto di zia Maria delle tradizioni in occasione della Santa Pasqua: gli sposi prima di “affәdé” tra “lә sәbbәlchә” e la “mteit”.
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Non una Pasqua qualunque ma
l’ultima da “vacandoiә” (nubile) cioè quella prima di “affәdé” (sposarsi).
Negli anni Cinquanta, stando a ciò che racconta zia Maria, c’erano regole molto
severe che indicavano la strada corretta da percorrere nella vita di ogni
giorno ed in qualsiasi circostanza. Non era da meno un’esperienza unica (altri
tempi) come quella del matrimonio. Per quel giorno, così come lungo tutto il
tragitto che portava i futuri sposi al momento di pronunciare il “sì”, era
doveroso rispettare un “protocollo” di usi e tradizioni ben precise, pena lo
“scombinamento” dello sposalizio.
In occasione delle festività
religiose pasquali, per esempio, la giovane promessa sposa si recava il Giovedì
Santo a “fé lә sәbbәlchә” (fare i sepolcri) con la suocera, la cognata grande
(sorella maggiore del fidanzato) e sua madre. Un fatto di sole donne, insomma,
quello di recarsi in adorazione del Santissimo Sacramento deposto all’altare
della deposizione. Per l’occasione la sposa comprava (o più frequentemente si
faceva confezionare) il vestito nuovo ed il soprabito. Ovviamente, ma questa
“regola” viene rispettata da alcuni ancora oggi, i sepolcri si facevano in
numero dispari altrimenti “non valevano”. Gli uomini di casa, compreso il
futuro sposo, aspettavano il rientro delle donne per “mettere tavola”. Una
volta tutti attorno al desco era il momento del piatto forte della tradizione
pugliese, ovvero il calzone: nei giorni che precedevano il Giovedì Santo tutta
la famiglia dello sposo era impegnata nella preparazione della leccornia a base
di sponsali fritti, acciughe, uvetta e olive. Se questa breve descrizione vi ha
sufficientemente incuriosito ecco un link per poter preparare un calzone “doc”
con la ricetta di nonna Ninetta, diffidate dalle imitazioni: http://www.terraefarina.it/2012/03/calzone-di-mio-fratello.html.
Ma torniamo ai futuri sposi,
sebbene con un po’ di acquolina in bocca. Se questa era la tradizione del giovedì,
il Sabato Santo protagonista indiscusso era il fidanzato. La famiglia della
sposa “mandava a regalare” (grazie a persone che in cambio di una piccola
ricompensa si offrivano come autentici “pony express”) prima della Resurrezione
di Gesù Cristo (che in passato avveniva il sabato mattina) allo sposo un cesto
di doni composto da un agnellino bianco con il fiocco rosso al collo, trentatré
uova fresche di gallina ed il cosiddetto “piatto dolce”, un dessert a scelta.
Se nel frattempo la futura suocera non aveva ancora completato la serie di
regali di sua spettanza (la collanina, l’orologio “buono”, il braccialetto di
oro...) si approfittava della Pasqua per compiere il proprio “dovere” e donare
allo sposo ciò che mancava all’appello, viceversa l’occasione era idonea anche
per rispettare un’altra usanza: la “mteit”. Secondo la tradizione, la famiglia
della sposa doveva regalare una “cambiata” allo sposo, cioè l’intimo che
avrebbe indossato magari anche il giorno del matrimonio. Non solo, anche la
camicia bianca e la cravatta per “affәdé” facevano parte di questo “corredo”.
Il Sabato Santo, ricorda zia
Maria, in giro per le strade di Andria si vedevano decine di persone con in
braccio agnellini con fiocchetti rossi, uova e piatti con dolcetti, tanti
quante le coppie “vacandoiә” nell’ultima Pasqua prima di “affәdé”.
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